Pasqualino Grosso
paki.gro@me.com
Arquiteto, Itália
Carola Brandini
brandinicarola@libero.it
Arquiteta, Itália
Para citação: GROSSO, Pasqualino; BRANDINI, Carola – A ténue linha entre arquitetura e escultura: “The sculpture village” (1987), Frank Gehry e Anthony Caro. Estudo Prévio 18. Lisboa: CEACT/UAL – Centro de Estudos de Arquitetura, Cidade e Território da Universidade Autónoma de Lisboa, 2020, p. 28-36. ISSN: 2182-4339 [Disponível em: www.estudoprevio.net]. DOI: https://doi.org/10.26619/2182-4339/18.4
Articolo ricevuto il 1 ottobre 2020 e accettato per la pubblicazione il 13 dicembre 2020.
Creative Commons, licença CC BY-4.0: https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
Riassunto
Frank Gehry (Toronto, 1929) è considerato uno dei massimi esponenti del decostruttivismo architettonico oltre che tra i più discussi architetti contemporanei. Ha sviluppato soprattutto l’interesse verso un processo di scomposizione dell’edificio in unità volumetriche diverse, realizzate ricorrendo spesso all’accostamento di materiali inusuali – dalla rete metallica, alla lamiera ondulata, fino a complesse leghe a base di titanio – e secondo pratiche che ricordano la tecnica del collage artistico. Con queste premesse, in questo articolo si è cercato di fare una riflessione sul suo approccio nei confronti della relazione tra architettura e scultura a partire da un progetto poco conosciuto, lo «sculpture village», realizzato nel 1987 in collaborazione con artisti di rilevanza mondiale – tra cui Anthony Caro, Jon Isherwood
progetto, demolito poco dopo la realizzazione, la scultura è protagonista, concepita in termini architettonici. Tramite interviste, testi e fotografie forniti direttamente dai partecipanti e dai fondatori del progetto, gli autori hanno dato vita ad un’analisi approfondita sulla relazione tra scultura e architettura, ed a una comprensione più ampia del lavoro di Gehry.
Parole chiave: Architettura, Scultura, Frank Gehry, Anthony Caro, Triangle Artists
1. Triangle Artists
Il progetto del “Villaggio di Sculture” nasce nel 1987 a seguito dell’incontro tra l’architetto Frank Gehry, l’artista britannico Anthony Caro e il suo assistente Jon Isherwood. Venne realizzato nell’arco di due settimane, durante un workshop tenutosi a Mashomack Fish and Game Preserve, Pine Plains, presso Nuova York, dal collettivo di artisti Triangle Artists, di cui Caro fu fondatore, insieme all’artista Sheila Girling, sua moglie. Triangle Artists prende il nome a seguito del workshop del 1982, dove Caro invitò dieci artisti provenienti da tre paesi diversi: Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti. Nonostante si trattasse di un evento che doveva essere singolare, venne ripetuto più volte in seguito, data l’enorme partecipazione di svariati artisti1 nel corso degli anni e dato l’obbiettivo che si poneva, molto diverso rispetto a qualsiasi altra iniziativa simile fatta fino a quel momento. Lo scopo, infatti, era quello di offrire momenti di intensa discussione e condivisione e la maggior parte degli artisti non sperimentava tutto ciò dai tempi della scuola d’arte.2
“In 25 anni, il modello si è rivelato cosi popolare che si è dissuso a partire da Nuova York – dove è iniziato nella contea rurale di Dutchess County, prima di migrare al Worls Trade Center e a DUMBO – per poi essere espansa in diversi luoghi in tuto il mondo. Furono organizzati seminari da Città del Capo, in Sudafrica, a Kunming, in Cina, fino a un villagio di pescatori della Martinica.”3
Nel 1987, per la prima e unica volta, glialcuni architetti parteciparono al workshop, su suggerimento e sostegno di Lord Palumbo, collezionista d’arte nonché grande appassionato di architettura moderna e contemporanea. Infatti, oltre ad essere stato il primo a promuovere l’idea, offrì un compenso elevato di denaro per sostenere lo sviluppo del progetto, e una parte importante del compenso a fu offerta agli architetti di fama mondiale invitati a partecipare a quell’edizione del workshop.
I pittori e gli scultori partecipanti lavorarono in diverse combinazioni con la coppia di architetti Alison e Peter Smithson, del Regno Unito, e con gli architetti americani William McDonough e Frank Gehry. Anthony Caro collaborò con Frank Gehry e altri due architetti del suo ufficio – Susan Nardulli e Paul Lubowicki – insieme agli scultori Jon Isherwood, e Sheila Girling.
Immagine 1 – Anthony Caro, Sheila Girling, Frank Gehry, Paul Lubowicki e Susan Nardulli durante la costruzione di Sculpture Village, 1987 (© Ferriel Waddington. Foto per gentile concessione di Jon Isherwood, 5 luglio 2020).
2. Sculpture village
Il progetto del “Villaggio di Sculture” è il prodotto del già citato workshop dei Triangle Artists del 1987 che, a cinque anni dopo la prima edizione aveva già acquisto una fama mondiale. Tuttavia, del progetto in sé, essendo stato dismesso poco dopo la realizzazione ed essendo stato praticamente ignorato dalla critica, restano poche informazioni.
Ci ha fornito la maggior parte delle informazioni riguardo il progetto il testimonio di alcune delle principale persone coinvolte nel progetto e un atlante di fotografie, conservato in Frank O. Gehry papers. Series I. Architectural projects, parte di Getty Research Institute Special Collections, che mostrano il progetto finalizzato. Quello che si evince dalle fotografie è l’attenzione per l’elemento scultoreo, l’utilizzo di materiali di scarto e riciclo ed è anche interessante notare come rampe, scale, nicchie e facciate creino la conformazione scultorea dell’insieme, generando a tutti gli effetti un villaggio di sculture. Sarebbe intrigante associare il progetto a una definizione della parola “villaggio”:
“In urbanistica, gruppo di abitazioni progettato più o meno unitariamente in modo da costituire un complesso edilizio studiato organicamente come un quartiere urbano, per rispondere ai bisogni o ai desiderî di una data categoria di abitanti.”
Questo è esattamente lo scopo del progetto proposto, l’unica differenza è il fatto di rispondere alle necessità di una categoria di oggetti scultorei, che compongono l’insieme.
In una dichiarazione per l’annuario del 1987 del workshop, l’artista Anthony Caro scrisse:
“Frank Gehry, Jon Isherwood ed io ci siamo incontrati a Nuova York a Maggio e abbiamo discusso della linea generale di approccio. Abbiamo deciso di concepire l’architettura in modo molto simile a quella del processo scultoreo, giocando con le varie parti dell’oggetto, scambiandole di posto in modo continuativo. Abbiamo lavorato in modo rilassato con una piccola squadra, tutti i membri hanno contribuito con idee e suggerimenti. Prima del seminario, Jon ha ingrandito sei o sette delle mie sculture e queste sono diventate i cardini della struttura del nostro villaggio. Non appena le ha viste, Frank voleva usarle così come si trovavano, espandendole in stanze collegate da passerelle, usando livelli e ponti e creando un ambiente coerente. Ha incorporato lamiere d’acciaio e tronchi d’albero, creando un centro. Sheila Girling ha utilizzato gli spazi interni e gli spazi delle pareti, dipingendo ritagli di legno e creando muri, soffitti e pavimenti per accentuare l’architettura; ha anche usato il plexiglass colorato nelle aree scure per creare luce colorata. Jon Isherwood costruì mobili da esterno, posti a sedere scultorei e tetti simili a tende. Susan Nardulli e Paul Lubowicki costruirono strutture scheletriche di legni di pesci e serpenti, abbastanza grandi da poter entrare nel villaggio di legno compensato. Parick Hoystracht e il suo team di falegnami hanno seguito il nostro esempio in modo fantasioso e creativo. L’elemento sorprendente è stato la visione comune con cui tutti abbiamo concepito il progetto e il grado di cooperazione e collaborazione con cui abbiamo lavorato. Ovviamente non era l’architettura, né la scultura, né la pittura, ma era un passo nell’oscurità, un passo folle che indicava ciò che poteva essere possibile.”4
La testimonianza di Jon Isherwood conferma questa continua ricerca di un’intensa collaborazione tra i vari partecipanti e aggiunge dati importanti su come è andato il lavoro. Per il già citato primo incontro a New York, Anthony e Jon, per comprendere le intenzioni dell’architetto, all’incontro hanno portato un modello di scultura da proporre a Frank Gehry. Jon ricorda divertito il momento in cui lui ed Anthony hanno dovuto trasportare una statua di circa 30 chili in giro per la città e all’interno del locale in cui si sono incontrati. L’oggetto in questione aveva già dei connotati architettonici, era a forma di T, suggerendo la possibilità di muoversi nello spazio e, attraverso una scala, accedere ad una seconda stanza al piano superiore.
La proposta da parte di Anthony è stata subito quella di rendere il modello di una scultura un vero e proprio “pezzo di architettura”, e la risposta di Frank è stata: “Tony, se vuoi trasformarlo in un pezzo di architettura vai avanti, non hai bisogno di me!”. In realtà l’approccio fu di totale collaborazione da parte dei tre artisti presenti alla prima riunione, e più in generale di tutti coloro che parteciparono al workshop, e la sfida fu quella di dare totale priorità alla forma, condividendo le idee dei partecipanti, con la realizzazione di un progetto che contenesse elementi diversi, proposti da ognuno. Dopo il primo incontro, ciascuno scelse dei componenti del progetto e poi insieme identificarono la scala e la dimensione degli elementi progettati, in modo tale da dare fluidità e sincronia al progetto e rendere facile la sua realizzazione e composizione.
Inizialmente sia Anthony che Jon pensavano che il progetto sarebbe stato composto da un singolo elemento, ma il risultato è stato un vero e proprio insieme di componenti, dando la possibilità di muoversi, camminare all’interno e all’esterno, arrampicarsi, scendere e salire su livelli diversi. I riferimenti progettuali furono dichiaratamente Antoni Gaudì e il Cubismo, soprattutto nel modo in cui esso propone visioni multiple di un singolo oggetto, da un solo punto di vista.
L’approccio progettuale sembra essere stato simile a quello di una città: una delle prime preoccupazioni di Gehry infatti è stata quella del posizionamento dei muri di confinamento, proprio perché come in una città, l’idea è quella di avere un elemento protettivo e di fortificazione ma anche un elemento che rappresenti l’indipendenza della comunità. Mentre all’interno creare una specie di coinvolgimento emotivo tra le opere e tra i visitatori. I diversi elementi dialogano tra di loro, in flussi di movimento che rendono il villaggio quasi un parco giochi per bambini.
Immagine 2 – Sculpture Village, costruzione, 1987 (© Ferriel Waddington. Foto per gentile concessione di Jon Isherwood, 5 luglio 2020).
3. Tra scultura e architettura
I realizzatori in più di un’occasione l’hanno definita come una fusione coerente e sinuosa tra scultura e architettura, ovvero sculpitecture, un termine che troviamo nel vocabolario della critica d’arte quando ci si riferisce al lavoro di Anthony Caro. Karen Wilkin la definisce come “la parola d’insieme che è stata associata alle strutture percorribili di Anthony Caro” (Wilkin, 2002: 422, traduzione libera degli autori), e lo stesso artista l’ha usato spesso per coniare alcune delle sue opere.
Il rapporto tra scultura e architettura è sempre stato fondamentale per Caro, a partire da quando studiava scultura alla Royal Academy Schools di Londra. Sono stati per lui di grande ispirazione l’architettura greca, quella indiana e quella messicana, la cattedrale di Chartres e i lavori di Gaudí a Barcellona, soprattutto quest’ultimo nella relazione e combinazione tra elementi scultorei ed elementi architettonici. La parte che più attrae interesse per lui è il volume, più dei dettagli architettonici. Molti dei lavori di Caro sono di carattere architettonico e alcuni specifici si riferiscono direttamente al mondo dell’architettura5. Questa sua attenzione al mondo dell’architettura è visibile nel progetto del “Villaggio di Sculture”, e così come Gehry si può definire “architetto- scultore”, allo stesso modo Caro è stato uno “scultore-architetto” ed è interessante come il punto di fusione di queste due figure sia proprio l’attenzione e l’interesse verso due arti comuni.
In un testo che fa riferimento al ruolo della scultura nel suo lavoro, Frank Gehry aveva scritto due anni prima della stesura di questo lavoro:
“Se si cerca di capire il mio lavoro sulla base dell’ordine fugale, dell’integrità strutturale e delle definizioni formalizzate di bellezza, si rischia di essere totalmente confusi. Mi avvicino a ogni edificio come a un oggetto scultoreo, a un contenitore spaziale […] La manipolazione dell’interno del contenitore è per me un problema autonomo, scultoreo e non meno interessante del design del contenitore stesso.” (Arnell, Bickford, 1985: 112, traduzione libera degli autori)
Gehry cerca di racchiudere la bellezza della scultura in un vero e proprio edificio, segue gli scultori e impara da loro. La tridimensionalità, i materiali, il modo di modellare lo spazio sono alcuni degli elementi che vengono condivisi con l’architettura, oltre che i temi principali del lavoro di Gehry, non solo nel progetto proposto. Però, lui stesso afferma quanto sia stato difficile attraversare il confine tra architettura e scultura, sempre che un confine tra le due esista realmente. La matericità è una delle questioni più importanti che forse collega le opere degli artisti con il lavoro di Frank Gehry. Questo perché egli è un architetto in grado di comprendere la vera natura dei materiali e le loro proprietà, con l’obiettivo finale di trasformarli in modo unico. Acciaio, vetro e pietra diventano elementi plastici e vengono plasmati con estrema leggerezza nei suoi edifici.
Ma le opere d’arte influenzano le sue preferenze in fatto di materiali? Probabilmente sì, difatti lui stesso afferma che durante la progettazione del Frederick R. Weisman Museum, ha ripensato alle sculture di Ellsworth Kelly:
“Al tempo del Weisman Museum, non potevamo più usare il piombo, il rame all’esterno, così sono passato all’inossidabile. Avevo visto un certo numero di sculture di Ellsworth Kelly in acciaio inossidabile sabbiato, e le amavo perché sembravano di pelle scamosciata. Avevo intenzione di usarle sul Weisman.” (Friedman, 2002: 132, traduzione libera degli autori)
Tornando al “Villaggio di Sculture”, le ragioni per le quali il progetto è passato inosservato agli occhi della critica potrebbero essere legate a una tematica principale: il progetto è stato demolito poco dopo essere stato realizzato, non arrivando ai giorni nostri. La realizzazione avvenne in terreni privati, non appartenenti all’associazione Triangle Artists, che al tempo era ai suoi albori e non possedeva uno spazio proprio per la realizzazione del workshop. Inoltre la disponibilità economica era limitata e proprio per questo, i lavori furono brevi, non vi era prevista alcuna manutenzione, e sfortunatamente le perturbazioni climatiche distrussero il villaggio. Nonostante inizialmente si concepì l’idea di recuperare il materiale e riutilizzare le sculture, subito dopo ci si rese conto che sarebbe stato troppo costoso, perciò gli artisti replicarono in acciaio alcuni elementi del villaggio, per essere utilizzati come elementi per creare nuove opere scultoree. D’altronde il “Villaggio di Sculture” venne concepito in modo sperimentale e non fu mai inteso come qualcosa di definitivo, piuttosto come una sfida personale delle tre figure principali per mettersi alla prova in un periodo di tempo limitato.
L’impressione di Jon Isherwood è che l’incontro con Gehry abbia cambiato e condizionato moltissimo il suo percorso come artista, portandolo ad appassionarsi alla ricerca di materiali particolari e alla modellazione di essi; Ricorda ancora, con apprezzamento, un lavoro di collaborazione basata sulla fiducia, nella quale ognuno esprimeva le idee in modo equo. Questa può essere considerata la modalità di condivisione corretta in un contesto sia scultoreo che architettonico.
Il progetto del “Villaggio di Sculture” è la dimostrazione che quando architettura e scultura si fondono, danno vita ad oggetti unici ed originali. La scultura diventa un laboratorio di sperimentazione per Frank Gehry, e la sua architettura si trasforma in ispirazione e riferimento per gli artisti che parteciparono al workshop, primo fra tutti Jon Isherwood, tanto da condizionarne il lavoro e il processo creativo delle arti.
La relazione tra architettura e scultura viene alla luce, e si evince il talento di Gehry di varcare quella linea sottile, padroneggiando la creatività del processo artistico e dando vita a elementi architettonici sempre correlati al mondo della scultura.
Ringraziamenti speciali
Ci piacerebbe spendere poche ma sincere parole per ringraziare tutte le persone che hanno risposto alle nostre richieste e alle nostre domande e ci hanno mandato materiali e fotografie originali. In particolare Olivia Bax (della Barford Sculptures Ltd), Karen Wilkin (una storica associata al Triangle Artists Workshop) e Jon Isherwood, al quale abbiamo avuto il piacere di fare un’intervista speciale, parlando del progetto in sé, del suo rapporto con l’architetto Frank Gehry e di alcuni retroscena molto interessanti. Per noi è stata un’esperienza incredibile. Molte grazie a tutti.
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